Da bambino avevo l’impressione che si potesse vivere solo grazie all’anticonformismo.
Che felicità volesse dire imbecillità.
Le avevo raccontato che da piccolo sentivo il bisogno di rompere i miei giocattoli preferiti quando capivo che mi erano diventati indispensabili, e che non avrei potuto alzarmi il giorno dopo scoprendo di non averli più, allora li pestavo sotto i piedi, li buttavo giù dalla finestra, non sopportavo l’idea che un giorno mi si rompessero involontariamente, scomparendo così dalla mia vita.
La felicità era un luogo verso cui bisognava tendere, ma dove non era consigliabile arrivare.