Esistevo in uno spazio remoto, lontanissimo dal mio modo normale di elaborare le informazioni: l’ «io» che ero divenuta negli anni, mi era chiaro, non era sopravvissuto alla catastrofe neurologica.
La dottoressa Jill Bolte Taylor era morta quel mattino.
Ma, allora, chi restava? […]
Nella mia mente, dal mio nuovo punto di vista, lei era morta quel mattino e non esisteva più.
Non sapendo più nulla della sua vita, delle sue relazioni, dei suoi successi e fallimenti, non ero più vincolata alle sue decisioni né·ai suoi limiti. […]
Per tutti i trentasette anni della mia vita mi ero dedicata con entusiasmo a «fare, fare, fare» a un ritmo frenetico.
Quel giorno speciale imparai il significato di «essere» e basta.