L’auto era un po’ rovinata all’interno, ma c’era una parte di lui.
Tutte le cose erano messe al loro posto, c’erano le targhette ricordo, un crocifisso di spago, un orsetto appeso allo specchietto. E un profumo di buono, di pulito, nonostante l’auto avesse tanti anni e un po’ di ruggine. Era quel profumo particolare che emanano le persone buone e le cose semplici.
La guardai bene e fissai nella mente i più piccoli particolari.
L’avevamo chiamata Carolina, un nome buffo che si addiceva a una vecchia, dolcissima automobile con i fari che sembrava sorridessero.
Era inconfondibile.