Adesso che nomino il centopiedi snello,
fiume di palme di mano, trireme cenerognola,
che mi cada sul viso, che mi entri
in un occhio, contorcendosi orribile fra le palpebre,
e rompa i suoi anelli e mi lasci
coperto di zampette furibonde, di veleno
e sventura.
Viso del mezzogiorno,
impara il centopiedi, l’ignominiosa
necessità di andarsi disseccando,
e guarda: non star triste, non andartene di là
a raccontare la tua vita alla gente.
Questo è niente, un disegno che lasciarono andandosene
i poveri, poveri vecchi,
un tappetino dove servivano il tè, e adesso
a lavarsi le mani per andare a dormire.