Dal basso di perenne idiozia, io ti saluto.
Le mani sulla rete che qui divide l’orto
dal magro viale in ghiaia della mia casa prima.
Io ti saluto come l’ebreo da un treno in fiamme
il nero incatenato, il bambino minatore.
Su me il sole supremo di David non scintilla
non miete le stagioni dei riccioli e del pane
la tavola abbondante, la pietra nell’anello.
Io ti saluto nudo nei piedi, sporco e puro
più vigile di un merlo disceso in mezzo all’erba.
Io sono margherita di campo che l’inchioda
il sorso d’acqua gelida, il frutto ricordato.
Io ti saluto con il cappello tra le mani
davanti a quel ciliegio osannato da Tonino;
ho qui un bel fazzoletto di biglie e calamite
la lista del negozio, che mamma farà tardi.
Ho qui un bastone pronto per correre in salita
una lettiga fredda chiamata per il padre.
Io ti saluto, mia gioventù, e un po’ ne rido
ché la pazienza forte d’amore ho conosciuto
e il mare della musica riempie le mie orecchie.
Ne rido come il pazzo all’elettrodo, o il malato
a dieci milligrammi d’inganno
come il cieco, che ha eclissi mattutine e notturne
in egual modo.
Io ti saluto, seno di perla, bocca bella
avorio tra le gambe di cedro, mia adorata;
come adorate sono le cose tutte, vive.
Io ti saluto e rido
botanico e animale, ginestra e lupo buono
la neve a primavera.
Ti rido da una panca sul porto, dalla spuma
che l’acqua più ribelle s’inventa.
Rido e basta. Dall’alto d’idiozia fatta uomo
e bacio il miglio, le foglie d’oleandro
la fretta delle rose.
Letta da Luigi Maria Corsanico